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Sugli assistenti universitari

sono un professore associato dell'Università di Bologna. Le scrivo in relazione alla telefonata di un'ascoltatrice che lamentava la condizione degli "assistenti" nella nostra università, su cui ho letto anche vari sms.

In effetti l'ascoltatrice aveva in parte ragione, anche se usava i termini sbagliati. Spero con questa mail di contribuire a chiarire una situazione sulla quale c'è una grave carenza d'informazione.

Gli assistenti universitari non esistono più in Italia dal 1983 (chi era "assistente di ruolo" nel frattempo è andato in pensione, se non è passato ad altri incarichi). Né esistono, in teoria, lavori volontari o comunque non pagati. Tutti gli incarichi di lavoro devono essere messi a concorso e retribuiti. Ma... ci sono almeno due problemi, probabilmente quelli che la signora aveva in mente:
1) esiste la figura del "cultore della materia", che può essere nominato direttamente dal consiglio di un corso di laurea, senza concorso, e senza alcun compenso. Queste figure vengono in sostanza utilizzate per fare esami affiancando il docente responsabile: il trucco consiste nel fatto che quello di una commissione d'esame non è considerato un "lavoro", ma una valutazione del lavoro degli studenti. Tutti sanno che non è così: fare esami vuol dire passare ore e a volte giornate a interrogare studenti, e farlo seriamente è un lavoro faticoso quanto importante. Ma per questo incarico non c'è, ripeto, alcun compenso o rimborso di sorta.
2) Molti insegnamenti vengono coperti, per concorso, da "docenti a contratto", cioè figure che vengono assunte temporaneamente per tenere un corso annuale o semestrale. Sto parlando di numeri molto alti: quasi in ogni ateneo ci sono corsi di laurea che senza i professori a contratto non raggiungerebbero il necessario rapporto docenti/studenti previsto dalla legge e dovrebbero letteralmente chiudere. Fin qui niente di male; incarichi tempranei ci sono in tutto il mondo. Ma il compenso previsto, per un corso annuale, si aggira intorno ai 3000 euro lordi. Al mese? Niente male, lei dirà. No, all'anno. Nel senso che per 60 ore di corso (di livello universitario), gli esami relativi, le eventuali tesi di laurea e la partecipazione obbligatoria agli organi collegiali, il compenso totale è quello. Lordo. Senza alcun rimborso per spostamenti o altre spese collaterali. Senza possibilità di cumulare questo incarico con altre forme di borsa di studio (ad esempio, gli assegni di ricerca, che hanno un compenso decente, sono in molti atenei incompatibili con una docenza a contratto annuale).

Chi svolge questo lavoro è in genere di altissima competenza, ha fatto dottorati, spesso ha già conseguito l'abilitazione nazionale a professore di seconda fascia (cioè gli è stato riconosciuto lo stesso livello scientifico che ho io, assunto a tempo pieno e indeterminato). Perché allora si presta a questo sfruttamento? Perché "fa curriculum";  traduzione: spera che il suo lavoro semi-gratuito venga prima o poi ricompensato con un'assunzione. Ma è una speranza oggi sempre più aleatoria: non è detto che ci saranno le risorse per mettere a concorso un posto stabile, e comunque la concorrenza di questi tempi è agguerritissima.

Approfitto per chiarire anche un'altra questione che è stata sollevata questa mattina da un'ascoltatrice, la quale sosteneva che uno studente costa allo stato diecimila euro all'anno, e se è fuori corso ventimila. Non so da dove l'ascoltatrice abbia preso questi dati: si è limitata a parlare di "statistiche OCSE" e "MIUR", come fossero la stessa cosa. Né è chiara la composizione di questa cifra: immagino che sia calcolata sommando i costi degli stipendi di docenti e amministrativi, il mantenimento delle strutture e gli altri costi vivi. Né ha detto se dalla cifra è già stato dedotto il costo delle tasse universitarie, che possono essere piuttosto alte. Temo che l'ascoltatrice abbia fatto confusione, ma in questo momento c'è un punto che mi preme sottolineare: ammesso che la cifra indicata per uno studente sia verosimile, lo studente fuori corso non può che costare molto meno, se non quasi zero. Lo studente fuori corso è solo in debito d'esame: ha già seguito gli insegnamenti e i laboratori relativi alla sua laurea, e se continua a seguire lezioni è solo per sua volontà. Non ci sono docenti o insegnamenti dedicati ai fuori corso, né strutture apposite. Generalmente lo studente fuori corso perde il diritto ai provvedimenti concessi per garantire il diritto allo studio: eventuali assegni di studio, alloggi, o esenzioni dalle tasse. Nel frattempo quindi continua, anno dopo anno, a pagare le tasse, che in molti atenei sono più alte di quelle degli studenti in corso, proprio per incoraggiare il completamento degli studi.

Mi scuso per la lunghezza e la ringrazio dell'attenzione.
Cordiali saluti,
Roberto
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