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Gentile signor 2013,

la lettera di domenica 6 gennaio

Gentile signor 2013, 
desidero raccontarle che cosa ho imparato dal suo predecessore, il signor 2012. Una cosa sola, ma parecchio importante, almeno per me. Come tante cose memorabili, è successa d’estate. 
Me ne stavo sdraiato su una spiaggia libera, all’ora in cui gli ombrelloni riflettono l’ombra di uno stecchino. Avevo appena finito di leggere il quotidiano sportivo infilato dentro il supplemento culturale di un altro quotidiano – avvolgere il piacere bieco dentro qualcosa di più nobile è un trucco che noi maschi usiamo spesso per ingannare gli altri e noi stessi – quando in un attacco di malinconia la mia attenzione è stata attratta dai relitti di una festa della sera precedente, disseminati sulla sabbia rovente: bottiglie, bicchieri, gusci spolpati di anguria. 
A quel punto è successo il fatto. Un tizio intorno ai cinquanta anni (molto ben portati, devo ammetterlo) si è avvicinato a una comitiva di ragazzi che sonnecchiavano al sole. Il tizio saltellava per via della sabbia, e della rabbia. L’ho sentito urlare: «Ma vi sembra il modo di lasciare uno spazio pubblico? Questa spiaggia non è solo vostra. Appartiene a tutti… E guardatemi in faccia mentre vi parlo! Io, alla vostra età…». 
Lì ho girato la testa per l’imbarazzo che mi provocano le frasi fatte. E nel girarla ho visto la donna che stava con il tizio sbraitante. Non aveva preso parte alla discussione. Aveva invece afferrato dei sacchi di plastica ammucchiati accanto ai bidoni della spazzatura e con movimenti lenti e solenni aveva cominciato a scaraventarvi dentro bottiglie rotte e bicchieri appiccicosi. 
Il tizio ha smesso di sgridare i ragazzi e ha raggiunto la sua donna. I due hanno lavorato sodo, in silenzio e sotto il sole. Giunti al decimo sacco, li ho visti correre in mare a rinfrescarsi. Ma quando sono usciti dall’acqua per accingersi a completare l’opera, la scena era completamente cambiata. I ragazzi si erano alzati tutti e, sacchi alla mano, stavano rimuovendo gli ultimi resti della loro bisboccia, in silenzio e sotto il sole. 
E’ lì che ho capito la cosa importante. Le ramanzine, i discorsi, i sermoni come questo sono sterili. L’unica forza che smuove davvero i cuori è l’esempio. Il gesto che accompagna o sostituisce le parole. 
Le ho raccontato questa storia, signor 13 (mi permetta il diminutivo), perché lei sarà l’anno delle elezioni, già cominciate da qualche giorno in un profluvio di ego arroventati e insulti reciproci, senza alcun rispetto per i problemi veri. Che poi sono due. Il primo è come mettere più soldi nelle tasche dei cittadini, alleggerendo le tasse in busta paga e dando un lavoro a chi la busta paga nemmeno ce l’ha, e riuscirci senza sfasciare lo Stato sociale e senza smettere di pagare i debiti accumulati in un passato di sprechi e ruberie. L’altra sfida, forse persino più importante, è come restituire fiducia in se stessi e speranza nel futuro a chi non ne può più di promesse fasulle e, come certe molle, si è arrugginito a furia di scattare a vuoto.
Ci vorrebbe una classe politica all’altezza, mi dirà lei. Ma chi sono i politici, nella storiella che le ho raccontato? Per qualcuno saranno i ragazzi che fanno bisboccia, sporcano e poi si rifiutano di mettere a posto. Per qualcun altro saranno il tizio che sbraita ma al dunque non ottiene nulla. Per molti, immagino, saranno invece la spazzatura. 
Non so. A me interessa di più sapere chi siamo noi. Dei menefreghisti? Dei lamentosi? Insomma, degli arresi? Io vorrei essere come la donna dei sacchi, che mentre gli altri litigano dà l’esempio in silenzio e, dando l’esempio, cambia la realtà. 
Ah, per inciso quella donna era mia moglie. Quanto al tizio che sbraitava senza costrutto, immagino che si sarà capito… Buon anno a lei, signor 13. E a tutti noi! 

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