Ryan McAdams: Nikolaj Rimskij-Korsakov “Mozart e Salieri”

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Ryan McAdams direttore

     

    Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908)
    Mozart e Salieri, opera in un atto (scene drammatiche)
    su libretto proprio tratto da Aleksandr Puškin
    Scena prima (Una stanza)
    Intermezzo - Fughetta
    Scena seconda (Un séparé in una taverna, un pianoforte)
    Requiem di Mozart
    personaggi e interpreti
    Mozart, tenorePaolo Fanale
    Salieri, bassoVladimir Baykov
    Un violinista cieco Vadim Repin

    LEGGI IL LIBRETTO DELL'OPERA >>

     

    Mozart e Salieri tra storia, mito e letteratura
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La morte di Mozart è sempre stata oggetto di fantasie. Quella scomparsa prematura (35 anni), avvenuta proprio nel bel mezzo della stesura del Requiem, non poteva certo passare inosservata agli occhi di una generazione, quella di inizio Ottocento, alla ricerca di musicisti intriganti: uomini straordinari nell’arte quanto nella vita. Mozart era perfetto: l’enfant prodige sballottato dal padre per tutta l’Europa, che negli ultimi dieci anni di vita aveva composto con la furia di chi sente di avere i minuti contati. Nel 1791 «un uomo alto, magro e vestito di grigio» si era affacciato alla porta di casa sua con la richiesta di un Requiem per un misterioso committente anonimo. Con gli anni si sarebbe scoperto tutto di quel tale: era un nobile dilettante di musica con il vizio di appropriarsi delle composizioni altrui. Ma quell’evento alimentò per anni una serie di fantasie in merito alla morte di Mozart: tra le più curiose, la tesi del complotto ad opera dei massoni - infastiditi da alcune scelte del Flauto magico - che avrebbero dato il colpo fatale, con una commissione onerosa, ai nervi di un compositore ormai soffocato dal lavoro. La figura di Salieri, soprattutto, tornò particolarmente utile a chi lavorava di fantasia. Il compositore italiano si era guadagnato la triste fama di invidioso: un mestierante che temeva il confronto con qualsiasi altro musicista di talento. Anche in questo caso una storia inventata, perché un Kapellmeister come lui, solidamente insediato alla Corte di Giuseppe II, non doveva certo temere alcun rivale; tanto più che con Mozart i rapporti furono piuttosto amichevoli, visti i frequenti scambi di opinioni in merito alle rispettive produzioni musicali. Ma, si sa, la fantasia conosce ragioni che la ragione  non conosce, e così nel giro di poco tempo a Vienna si sparse la notizia dell’avvelenamento di Mozart ad opera di Salieri. Si cominciò con alcune accuse pubblicate dai quotidiani locali: il gonfiore post-mortem del corpo doveva per forza essere stato causato da una forte dose di mercurio, dicevano alcuni cronisti. E tutto sommato nessuno aveva la credibilità per smentire quelle voci, perché il decesso di Mozart sarebbe rimasto sostanzialmente un mistero: febbri reumatiche, uremia renale, ipertiroidismo, sindrome di Tourette, trichinosi, ecco solo alcune delle diagnosi proposte. Stando alle ricerche più recenti, dovrebbe essere stato uno streptococco a divorarsi nel giro di pochi mesi la salute del compositore; ma questo all’epoca nessuno lo poteva sapere, e l’ignoranza non faceva che favorire la disinformazione. Anche Salieri ci mise del suo a scrivere il romanzo. Inizialmente si affrettò a smentire le dicerie: «Tutto posso accettare, ma non che si dica che ho ucciso Mozart». Ma poi nel 1825, ormai annebbiato dalla demenza senile, confessò il delitto a un allievo di Beethoven (o meglio, quest’ultimo disse di aver assistito alla confessione). Apriti cielo! La generazione romantica non aspettava altro, e così la storia divenne definitivamente letteratura quando Aleksandr Puškin decise nel 1830 di scriverci su una «Piccola tragedia», intitolata appunto Mozart e Salieri. Nessun intento documentario, naturalmente: solo un breve dramma interamente giocato attorno alla vicenda dell’avvelenamento di Mozart. L’intrigo è molto semplice: nella prima scena i due compositori si trovano in una stanza e Salieri ha modo di manifestare tutta la sua invidia per il più giovane collega; poi, nella seconda scena, i due cenano insieme in apparente amicizia, ma durante il brindisi finale Salieri riesce a versare il veleno nel calice di Mozart.

     

    Da Mozart e Salieri ad Amadeus

    Dopo il dramma di Puškin, fu Peter Shaffer l’autore che riprese in teatro il tema dell’uccisione di Mozart: nel suo testo, intitolato Amadeus (1978), Salieri non è più un assassino, ma continua comunque a essere un uomo roso dall’invidia; la sua unica speranza diviene quella di essere ricordato per contrapposizione, addossandosi la colpa di un omicidio inventato. L’opera è stata il modello principale per la realizzazione del film di Milos Forman, Amadeus (1984)¸ nel quale Salieri, ormai vecchio e debole, ripercorre l’esperienza viennese di Mozart con un sentimento al confine tra l’invidia e l’idolatria; anche in questo caso la questione dell’assassinio viene lasciata in sospeso, anche se il rapporto tra i due continua a essere descritto in termini problematici: celebre il finale in cui Salieri si trova nella traumatica condizione di trascrivere alcune idee del Requiem al capezzale di un Mozart ormai incapace di prendere carta e penna.

     

    L’opera di Rimskij-Korsakov

    Rimskij-Korsakov conobbe il dramma di Puškin intorno al 1897, in uno dei periodi più fertili della sua creatività (nei mesi precedenti era nata l’opera Sadko); e immaginò immediatamente una breve opera per due soli personaggi (fu lui stesso ad approntare il libretto, riducendo il testo di Puškin). Prima nacque la parte vocale (cosa piuttosto anomala per la genesi di un lavoro teatrale), poi venne tutto il resto: «L’accompagnamento, abbastanza complesso - scriveva il compositore - si è aggiunto successivamente». L’interesse per la scrittura delle voci testimonia una certa affinità con il “recitativo continuo” esplorato da Dargomyžskij nel suo Convitato di pietra: una sorta di declamato, in bilico tra canto e recitazione, che il pubblico ebbe la possibilità di scoprire la sera del 25 novembre 1898 al Teatro Solodovnikov di Mosca. Quanto alla musica, Rimskij-Korsakov si toglie lo sfizio, ormai alle porte del Novecento, di ripensare alla grande tradizione musicale del Settecento: l’orchestra è più vicina a un organico cameristico che alle mastodontiche compagini di fine Ottocento, l’armonia generalmente predilige le cadenze dello stile classico, molti interventi solistici in orchestra sono perfettamente allineati a quelle caratteristiche di ordine, eleganza e cantabilità che al tempo di Mozart e Salieri erano ancora ineliminabili. Non mancano citazioni esplicite (nella prima scena un violinista di strada suona con sarcasmo «Batti, batti o bel Masetto» dal Don Giovanni, nella seconda Mozart si siede al pianoforte per eseguire una curiosa versione per pianoforte, archi e fiati del Requiem). E c’è anche spazio per un hommage allo stile di Mozart, inventato dallo stesso Rimskij-Korsakov, nel brano pianistico della prima scena; è proprio quella pagina solistica, scritta in un linguaggio che parte dal mondo del classicismo per inoltrarsi progressivamente nelle arditezze della produzione romantica, a convincere definitivamente Salieri di trovarsi di fronte a un genio ingenuo che non merita il suo talento: «E tu, con questa musica nell’anima, sei stato in grado di fermarti davanti alla locanda per ascoltare un vecchio cieco?». Naturalmente, però, il Settecento passa attraverso il filtro soggettivo di un compositore che forse sarebbe stato lieto di nascere qualche decennio prima. Quindi il répechage del passato non ha il suono tagliente e distaccato che Stravinskij avrebbe immaginato per il suo Pulcinella (1920), ma è carico di nostalgia nei confronti di un’età dell’oro avvertita come irrecuperabile. L’episodio in fugato (con strette imitazioni tra le parti) che separa le due scene è scritto con la diligenza scrupolosa di chi in fondo avverte un senso di inferiorità nei confronti dei suoi predecessori; il tema conduttore che Rimskij forgia nell’introduzione, pur avendo la grazia di una danza aristocratica, ha la stessa compostezza stentata di una bellezza ormai in piena decadenza; e il monologo a cui Mozart affida il racconto delle inquietudini successive alla commissione del Requiem è un declamato che ricorda la vocalità profondamente malinconica cucita da Musorgskij attorno al suo Boris Godunov. È però soprattutto il postludio strumentale a offrire una chiave di lettura dell’intera opera, pennellando in poche note un’atmosfera che da una parte allude alla disperazione di Salieri, l’iconoclasta che uccide un genio pur di non sentirsi mediocre, dall’altra al dispiacere di un compositore, Rimskij stesso in questo caso, consapevole di avere a che fare con un codice estetico in via di estinzione: quel modo di scrivere musica, nato proprio negli anni di Mozart, che nel giro di pochi anni sarebbe stato spazzato via da gente come Stravinskij, Debussy o Schönberg.

    ANDREA MALVANO

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