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Su filindeu. La pasta più rara al mondo

Il nome significa fili di Dio e si tratta si una pasta formata da tantissimi fili sottili come capelli che sovrapponendosi forma una specie di garza.

 

Paola Abraini, è ormai una delle poche persone al mondo, assieme a un paio di  altre donne del nuorese, a saper preparare questa pasta secolare.

Ne ha parlato recentemente anche la BBC, un colosso italiano della pasta ha provato a studiarne la tecnica mentre Slow Food per preservare questa cultura ha fatto salire “su filandeu” sulla sua Arca del gusto.

Viene preparata e servita soltanto a maggio e in ottobre, in occasione del pellegrinaggio annuale al Santuario di San Francesco di Lula. Per accogliere i pellegrini, Paola prepara ogni volta ben 50 chili di pasta, lavorando cinque ore al giorno per un mese.

L’antica tecnica, tramandata da madre in figlia è così lunga e complessa che Jamie Oliver, dopo aver tentato per due ore, a casa di Paola, di ottenere i preziosi “fili”, ha gettato la spugna dicendo “ho fatto pasta per più di vent’anni, ma non ho mai visto una cosa come questa!”

Paola ha anche provato a fare dei corsi per diffondere il sapere di questa preparazione ma dopo aver visto la particolare lavorazione, tutti gli apprendisti se ne sono andati senza tornare, affermando sconsolati che per la preparazione occorreva “troppo lavoro”.

 

L’impasto è fatto con semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale.

Si lavora la pasta a lungo fino a portarla a una consistenza molto morbida.

L’elasticità è fondamentale e si ottiene umidificando continuamente l’impasto con dell’acqua salata: impossibile definire a priori il momento esatto in cui è necessario inumidirla, è una sensazione che riconosce solo chi sta lavorando.

Quindi si tagliano piccole porzioni di pasta che vengono tirate otto volte con le dita delle mani fino a formare fili sottilissimi, che sono appoggiati in tre strati sovrapposti sopra su fundu, un vassoio di legno circolare(un tempo fatto di foglie di asfodelo).

Una volta composto lo strato di pasta si pone ad asciugare al sole: qui, essiccando, diventa una specie di garza e a questo punto è pronto per essere spezzato in tocchi e immerso nel brodo di pecora caldissimo.

 

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