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La lingua degli angeli

Harro Stammerjohann, professore emerito di Linguistica romanza, accademico straniero della crusca dal 1999, ci guida attraverso un percorso dove civiltà e lingua italiana si incrociano e si riflettono l'una nell'altra componendo un mosaico storico e linguistico nel quale l'immagine ricorrente è quella di una lingua "ponte" che affascina e che ha lasciato tantissime testimonianze in moltissimi contesti.Ne parliamo con l'autore in questa intervista che vi proponiamo per il mese di gennaio.

Harro Stammerjohann, La lingua degli angeli, Firenze, Accademia della Crusca, 2013, 360 pagine.

 

 

L'italiano è stato, nel medioevo e anche in epoca rinascimentale, una lingua piuttosto dif­fusa poiché l'Italia, o meglio ciò che veniva inteso come tale, era legata ad alcune ec­cel­lenze come la marineria, il commercio e lo studio universitario. Che parallelo pos­siamo fare in questo senso con la situazione attuale? Ci sono attualmente delle eccellenze che possono imporsi e promuovere così la lingua italiana?
Ci sono certo delle eccellenze italiane anche oggi ma non credo che promuovano tanto la lin­gua italiana. Se è vero che il “Made in Italy” – moda, de­sign, alimentari, vini... italiani – si ven­­de in tutto il mon­do è pur vero che la lingua del com­mer­cio in­ter­na­zionale è l’inglese. Con­­­tinua a diffondersi il lessico culinario italiano: non solo nomi com­mer­­ciali di prodotti ita­lia­ni (che non sono italianismi in senso tecnico lingui­stico) ma anche nomi e lo­cu­zio­ni comuni, per es. al dente, antipasto, cannelloni... Per quanto riguar­da i nomi di ristoranti, intorno a casa mia nel centro di Fran­co­for­te ce ne sono almeno tre: Il Pescatore, Marietto e Golfo di Napoli... Ma non è la lingua italiana che si diffonde così, sono dei prestiti a essa, cioè de­gli italianismi.

La visione che emerge è che l'Italia e l'italiano siano stati, almeno fino al periodo rina­sci­mentale, una sorta di ponte verso lingue e culture diverse. Esiste ancora questa ca­rat­te­ristica?  In che modo l'italiano potrebbe tornare ad avere questa funzione?
È vero che in passato la lingua italiana ha mediato a tutta l’Europa, per esempio, i saperi ara­bi e con i saperi anche le parole, per es. candire, marzapane, zucchero ... (Erano gli arabi a rad­dol­cire la nostra vita!) L’italiano non ha più questa funzione ma mi domando se non potrebbe tornare ad averla se l’Unione per il Mediterraneo, fondata nel 2008, godesse fortuna.

L’italiano è stato considerato, attraverso differenti epoche, lingua dell'amore, del­l'ar­te, della seduzione, della diplomazia. Ma quale funzione ricopre la lingua italiana al gior­no d’oggi?
Oltre gli italianismi, cioè parole e locuzioni italiane, in molti ambienti in cui l’Italia era la ci­vil­tà più avanzata d’Europa, l’italiano è rimasto la lingua della musica, in particolare del can­to. Chi vuol fare una carriera di cantante d’opera deve per forza imparare la lingua italiana giac­chè prima o poi dovrà – e vorrà – cantare delle opere liriche italiane. Tant’è vero che in tutto il mondo i conservatori di musica offrono ai loro studenti anche corsi di lingua italiana. Va aggiunto che anche in tempi recenti italianismi di vari ambienti hanno arricchito il lessico del mondo mo­der­no, per es. aggiornamento nel­l’ac­­ce­zio­ne di ‘adattamento della Chie­sa cattolica, e per estensione anche di altre chiese e re­li­gio­ni, al mon­do moderno’, poi am­bien­te, azzurri, biennale, cardano, catenaccio, cavaliere, diret­tis­si­ma, dolce vita, fa­sci­smo, irre­den­tismo, papamobile, paparazzo, pappagallo, tifosi ... ‒ tutti ter­mini che oggi non designano più fe­no­me­ni solo italiani. Sono di­­ven­tati in­ter­na­zio­na­li­smi.

Quali sono i motivi per cui oggi le giovani generazioni dovrebbero avvicinarsi alla lin­gua italiana?
Fatto sta che lo studio della lingua italiana è in espansione in tutti i paesi del mondo. Per quan­­to riguarda le motivazioni cito come esempio un appello della Fondazione Italia, un’ini­zia­tiva ameri­ca­na che ha la sua sede al Dipar­ti­mento d’ita­lia­­no della Uni­versity of California at Los Angeles (UCLA). Questa Fondazione invita allo studio della lingua ita­lia­­na pro­po­nen­do:

Learn the language of your nonni! (‘Impara la lingua dei tuoi nonni’, cioè dei tuoi antenati immigrati in America)
Make your next trip to Italy more interesting! (‘Rendi il tuo prossimo viaggio in Italia piùinteressante’)
Get an insider’s view of a wonderfully rich culture!
(‘Diventa un esperto di una cultura me­ravi­gliosamente ricca’)
Improve your academic performance!
(‘Migliora la tua performance accademica’)
Expand your personal horizons! (‘Espandi i tuoi orizzonti personali’)

Giova alla diffusione della lingua italiana la reputazione di essere una lingua facile da impa­rare, reputazione non del tutto infondata. Infatti, le lingue più fa­cili da im­parare non sono quel­­le par­ti­co­lar­mente vicine né, certo, quelle particolarmente lon­tane dalla pro­pria lin­gua, ma quelle a distanza media, e al­lo­ra l’italiano, a distanza me­dia da molte altre lingue europee, sarebbe per i parlanti di tutte queste lingue re­lativamente facile da im­pa­ra­re e perciò, secondo uno studioso tedesco, l’ideale lingua co­mune per l’Europa.

Nell’ultima parte del volume propone un viaggio attraverso i giudizi di studiosi stra­nie­risulla nostra lingua. Ma al giorno d’oggi riceveremmo le stesse risposte?

Sì o quasi. Se in passato la lingua italiana ha avuto anche dei detrattori, oggi la bellezza della lin­­gua ita­lia­na è una «certezza di massa da Guide bleu» (Tullio De Mauro). Oltre ad essere considerata fa­ci­le da imparare essa continua ad essere considerata delicata, dolce, elegante, flui­da, gen­tile, gradevole, gra­zio­sa, liscia, melodica, piacevole, seducente, una lingua mu­si­cale e nata per la musi­ca, fem­mi­nile e fatta per l’amore ... Tant’è vero che anche gli studiosi linguisti stranieri soc­com­­bono al fascino della lingua italiana, tanto che cercano di spiegarlo scientifi­ca­mente.

 

L'autore 
Harro Stammerjohann
, nato nel 1938 a Bad Segeberg (Germania), è professore emerito di Lin­­­guistica romanza, che ha insegnato negli Stati Uniti, a Francoforte sul Meno e a Chemnitz. Le sue principali aree di studio sono la linguistica italiana e francese. Ha diretto anche  pub­bli­­ca­zioni di linguistica generale, tra le quali il Lexicon Grammaticorum. A Bio-Bibliogra­phic­al Companion to the History of Linguistics (seconda edizione 2009). Ha ideato e realiz­za­to il Dizionario di italianismi in francese, inglese e tedesco (DIFIT, 2008). Dal 1999 è ac­cade­mico straniero della Crusca, che nel 1970 aveva pubblicato la sua tesi sul fiorentino par­la­to.

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