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Coralità tedesca tra anonimi e titani

in onda venerdì 17 ottobre alle ore 15,30

Coralità tedesca tra anonimi e titani Seppur di secoli differenti, i primi brani in programma oggi hanno in comune la particolare tecnica adottata, quella del cosiddetto falsobordone; si tratta di una modalità di canto legata molto strettamente alla parola e al ritmo della declamazione del testo sacro; la sua principale caratteristica è che la costruzione polifonica verticale è pensata in semplici blocchi armonici in cui non ha spazio l'intreccio delle voci.

In un linguaggio più accessibile potremmo dire che, nell'armonizzazione della melodia originaria, le varie voci cantano tutte con lo stesso ritmo, formando accordi che si susseguono in concatenazioni armoniche elementari.

Quando si parla di anonimo talvolta è come se irrazionalmente immaginassimo una sola, fantastica, irreale entità che attraversa i secoli: ascolteremo ora tre salmi di lode, anonimi appunto, composti intorno alla fine del 1400.

La tecnica del falsobordone è stato a lungo usata nella liturgia poiché essendo assai semplice poteva essere imparata rapidamente dai cantori (tanto più che le armonie seguivano le formule dei toni gregoriani, sorta di prontuario universale noto a tutti) e soprattutto poteva essere adattata a qualsivoglia testo sacro, rispettando esattamente il tono di lezione (leggi: intonazione della lettura declamata) originario.

Di tale Sebastian Ertl vissuto alla fine del XVI secolo, ascolteremo ancora un salmo, sempre in falsobordone ma questa volta con un organico più articolato.

In questi primi ascolti corriamo coscientemente il rischio di non soddisfare appieno l'orecchio di alcuni, per una certa vera e propria monotonia dell'effetto sonoro: più sillabe ripetute con lo stesso suono creano già nella salmodia solistica un effetto ipnotico, e qui tale effetto viene amplificato per la presenza di più parti vocali.

Pur nell'uniformità generale dell'impianto sonoro, in alcuni momenti però sentiamo liberarsi un canto più articolato non più vincolato dalla declamazione, e compaiono gli strumenti che, oltre a sostenere le voci, assumono un ruolo solistico (come qui l'organo nell'introduzione) o sottolineano alcuni movimenti, come qui le piccole aggiunte improvvisative del violino.

Con brusco cambio di registro, periodo e stile, i nostri ascolti proseguono in un linguaggio più universalmente consolidato; l'inno composto da Haydn nel 1765, seppure inserito nella svolgersi della liturgia, ha una autonomia formale ed artistica ormai totalmente acquisita.

La Gloria di Dio nella natura appartiene ad un ciclo per canto e pianoforte di Beethoven; in questa versione corale la costruzione delle parti si ripropone come semplice ed accordale, per sottolineare la solennità del testo.

Felix Mendelssohn Bartholdy dedicò alle voci una parte importante del suo catalogo, più conosciuto comunque sul versante strumentale; ascolteremo nell'Ave Maria il coro dialogare serratamente con la splendida voce del tenore solista.

Il lied ottocentesco assorbe, soprattutto in Germania, anche la diffusissima tradizione corale, producendo opere spesso articolate in cicli sia sacri che, più frequentemente e come in questo caso, di ispirazione profana.

Lungi dal voler fare una breve storia della musica per coro di stampo teutonico, incontriamo infine un autore la cui personalità sfuggente corrisponde ad una produzione musicale nota quasi esclusivamente per il genere liederistico: Hugo Wolf, infelice genio postromantico dal linguaggio denso e profondo; interrompiamo gli ascolti vocali per dare spazio alla Serenata per quartetto d'archi con cui Wolf omaggia il nostro Paese.

Nel suo ciclo corale su testi di ispirazione spirituale del poeta Eichendorff la musica esplora con profondità evanescente e delicata le più intime pieghe dell'animo umano; breve ma intensa la gioiosità del nostro ultimo ascolto, raro momento in cui Wolf descrive come davvero felice il viaggio della vita.


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