Scatti di scena

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Costumi

Paola Marchesin

Nell’affrontare  la sceneggiatura di un fatto storico accaduto peraltro in un periodo  importantissimo per l’Italia, mi sono messa  a disposizione della storia.

Volendo ricreare un’immagine quasi documentaristica,  ho cercato la semplicità realistica ispirandomi al Grande Cinema del Neorealismo Italiano: Roma città aperta, Sciuscià, Ladri di biciclette, tutti film che documentano una realtà drammatica nell’Italia di fine guerra.

Ho iniziato a documentarmi sui Carabinieri protagonisti del film: non di tutti esiste  in rete una documentazione. Mi ha fatto da guida un bel libro biografico/ fotografico pubblicato dal Comune di Sora sulla vita di Alberto La Rocca, arruolatosi come volontario nell’Arma nel 1942, a 18 anni.

Il 15 giugno 1943 venne assegnato alla Legione dei Carabinieri di Firenze e il giorno seguente trasferito alla Stazione CC di Fiesole.

Un anno dopo sarà fucilato  dai tedeschi assieme ad altri due commilitoni, come narra il film.

Con la completa collaborazione del Comando Generale dell’Arma e le ricerche effettuate presso l’Archivio Fotografico Storico dei Carabinieri, mi sono resa conto che negli anni tra il 1940 e il 1944, di cui esiste una scarsa documentazione fotografica a causa della guerra in corso, le divise sono simili  tra quelle precedenti il 1940 e quelle fornite dallo Stato dopo il ‘44.

Le divise estive, più leggere,  ispirate alle sahariane usate in Libia e Eritrea ancora non erano state introdotte nell’ordinamento dell’Arma in Italia. Ne abbiamo i primi esempi nel 1946. A meno che il Carabiniere fosse di grado Ufficiali e potesse permettersi di farle confezionare da un sarto personale, scegliendo la stoffa leggera.

Quindi l’unica Divisa, per il Carabiniere semplice, quasi una seconda pelle, era quella di panno per tutto l’anno e la persona che la indossava ne aveva cura come se fosse una sua seconda, ma non per importanza, identità.

Per il reperimento degli abiti civili abbiamo cercato di individuare abiti autentici d’epoca, o quantomeno rifatti secondo una logica il più possibile “archeologica”.

Ho trovato  tutto questo tra  vari magazzini di costumi privati e la Sartoria Tirelli.

Concordate con la Regia  le linee guida, si è proceduto poi alla selezione dei corpi e dei volti che avrebbero dovuto indossare i costumi.

Nella società attuale è difficile reperire la fisicità di quegli anni di fame perché la supernutrizione ha fatto alzare l’italiano medio di almeno 10 o 20 centimetri.

Quindi è stata fatta un’attenta selezione delle figurazioni, possedendo per lo più abiti d’epoca originali, abbiamo scelto persone con caratteristiche fisiche adeguate, cioè non alti, magri, con capelli non tinti, insomma, il più possibile naturali.

Rispetto alla fisiognomica, le difficoltà maggiori sono stati i volti e fisicità dei soldati tedeschi: girando a Roma  non è stato facile avere i colori teutonici occhi chiari e capelli biondi.

Rispetto al bambino Pietro, c’è un chiaro riferimento a “Sciuscià”… le scarpe allora erano un lusso, il suo pantaloncino è stato ricavato da uno del padre, i capelli sono rasati, contro i pidocchi.

I colori saturi e sbiaditi degli abiti, sono stati ottenuti con ulteriori trattamenti di “invecchiamento e sporcatura” rendendoli credibili in una Italia di stenti e macerie.

Il lavoro della Fotografia ha fatto il resto.

 

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